Simona
Persone che mi conoscono da tempo, mi dicono “sei cambiata un sacco”. E io replico “vuoi cambiare anche tu?”
Ho conosciuto la comunità bahá’í nel 2017, una sera mentre mi trovavo in piazza con mia madre, avevo 13/14 anni. Ho notato un gruppo di ragazze e ragazzi che stava giocando, mi sono avvicinata ed ho conosciuto anche il loro animatore. Da lì ho iniziato a partecipare al gruppo giovanissimi; ad un certo punto quando qualcuno si è allontanato e il gruppo si è sciolto, io mi sono un po’ persa.
Dopo un po’ di tempo, mi hanno ricontattata e ho cominciato lo studio del Libro 1 della sequenza dell’Istituto Ruhi e ad aiutare nelle classi per bambini, mi piaceva un sacco. Tutto quello che si diceva aveva un senso per me, era magnifico. Eravamo molto uniti tra di noi. Se oggi mi metto a leggere gli Scritti di Bahá’u’lláh mi colpiscono cose diverse, ma allora ero molto legata al fatto che si stesse costruendo un’amicizia con valori sani e solidi. Quella è stata la spinta a far parte del gruppo e a diventare piano piano animatrice di un gruppo giovanissimi.
Da bambina ho fatto catechismo, Cresima e Comunione, ma la mia spiritualità era inesistente. Ci andavo perché lo sentivo come un obbligo imposto dai miei genitori, ma non mi interessava. La maggior parte delle volte non avevo voglia né di andare a messa né a catechismo. Alla Cresima ho detto alla mia catechista “e se io andassi fuori e voi mi verreste a chiamare?” Non mi piaceva il modo che avevano di fare. Ci impartivano delle cose e bisognava impararle a memoria. Nient’altro, non c’era una crescita comune. Mi ricordava la scuola: insegnamento e conseguente interrogazione e giudizio. Adesso è molto diverso.
Quando scopri e capisci qual è la tua spiritualità, riesci a comprendere alcune cose. Inizialmente, provenendo dal catechismo, quando nelle classi per bambini si parlava di preghiera mi veniva subito in mente l’approccio con l’obbligo della memorizzazione. Ciò che mi ha aiutato a rimuovere i pregiudizi, frequentando la comunità bahá’í e iniziando a leggere gli Scritti di Bahá’u’lláh per conto mio, è stata la consapevolezza della loro importanza e della meditazione spirituale. Nel catechismo mi avevano insegnato che se non preghi non vai in Paradiso: è qualcosa di automatico e obbligatorio per ottenere qualcos’altro. Avevo una repulsione per la preghiera, ma oggi si è trasformata, grazie all’approfondimento, in un grande desiderio, anzi, la necessità di pregare. Quando cresci e inizi a dare un senso alle cose la tua vita cambia, soprattutto quando smetti di fare le cose perché qualcuno te le impone, ma derivano dalla tua scelta personale di comprenderle e farle.
Penso di aver capito che la Fede bahá’í e Bahá’u’lláh erano la mia strada quando ero giovanissima, ma avevo altri interessi, forze sociali e genitori molto cattolici. Così ho intrapreso una strada sbagliata, ma a un certo punto mi sono trovata di fronte a un bivio. Quando sono tornata ad aiutare nelle classi, nell’estate del 2020, avevo mille domande sulla Fede e la più importante era “per voi cosa significa essere bahá’í?”. Mi sono in un certo modo dichiarata per la prima volta davanti alla mia animatrice. Le ho detto “credo di essere bahá’í, ma non so bene cosa significhi”; in quel periodo non mi comportavo in modo molto coerente e quindi mi sono presa del tempo per capire da che parte del mondo stavo, poi l’anno scorso ho deciso di inviare una lettera all’Assemblea Spirituale Locale e mi sono formalmente dichiarata. E mi hanno detto “ma noi lo sapevamo già da tempo!”.
Diventare bahá’í per me è stato un po’ come tornare a vivere, perché ritrovare tutta questa spensieratezza e speranza mi ha aiutato a rinascere. Nei momenti difficili penso: “non ce la posso fare”, poi mi ricordo la strada che ho deciso di intraprendere e mi dico che posso farcela benissimo. Se non fossi bahá’í adesso sarei disperata, come un po’ di tempo fa, quando mi guardavo in faccia chiedendomi cosa fare della mia vita. Per me è vita. È tutto. Penso spesso a come ho fatto a vivere tutti questi anni senza la Fede e quanto sarebbe stato diverso se l’avessi conosciuta prima. Non è un caso che mi sia resa conto della sua importanza in un particolare momento della mia vita.
Ho intrapreso questo percorso grazie al programma di valorizzazione spirituale dei giovanissimi, prima come partecipante e poi come animatrice. Oggi non mi ricordo benissimo l’impatto che ha avuto su di me il programma, ma sicuramente ero felice di avere legami sinceri con qualcuno, anche se da giovanissima non mi erano chiari il concetto di servizio e alcune cose più complesse. All’inizio mi piaceva portare a casa i libri, ma non mettevo in pratica quello che leggevo. Poi, quando ho cominciato a fare l’animatrice del gruppo giovanissimi tutto è cambiato, fu un impatto molto forte.
È molto bello vedere ragazzi che stanno vivendo quello che hai vissuto tu, ma in modo diverso. Prima c’erano meno strumenti e persone, la comunità era più piccola. Era molto diverso, ora vedo le persone e i giovanissimi che si sforzano di apprendere e mettere in pratica queste cose. Io da più piccola leggevo, concordavo su tutto, ma non sapevo come metterle in pratica nella mia vita. Fare l’animatrice mi permette di condividere anche la mia esperienza personale, come, le sfide che ho avuto a scuola, ed è importante diventare esempio per i ragazzi ed essere sempre al loro servizio. È bello vedere che a 14 anni possono divenire un esempio adeguato anche loro. È molto ispirante vederli crescere. Loro lo sanno che possono sempre contare su di me, a qualunque ora del giorno, per qualsiasi cosa, questo vale anche per altri giovanissimi che frequentano altri gruppi. Voglio bene a tutti.
Una volta un mio amico mi ha chiesto: “Come fai a conciliare l’essere bahá’í con il fatto di frequentare persone che si comportano in certo modo?”. Perché io sono convinta di quello che voglio essere, anche con i “disadattati” mi trovo bene e gli voglio bene. Ieri sera ho avuto una conversazione a scuola con una ragazza e lei mi diceva che “anche se in questo periodo sono tranquilla, mi sento un vuoto dentro”, io le ho trasmesso la mia esperienza, del periodo in cui ho smesso di fare il gruppo, quando non facevo niente, mi sentivo una persona distrutta e non stavo realizzando né contribuendo a nulla. Le ho parlato del Centro comunitario e della Fede e lei ha detto che vorrebbe di venire al centro. Io cerco di parlarne in modo del tutto naturale, spiegando che cosa ha aiutato me, altrimenti si innesca una serie di pregiudizi; ma le persone che ti vogliono bene vogliono capirne di più e diventa molto semplice parlarne.
Persone che mi conoscono da tempo, mi dicono “sei cambiata un sacco”. E io replico “vuoi cambiare anche tu?” e nasce la conversazione su come ho fatto cambiare, cosa mi è successo. Adesso sono una persona tranquilla, prima non lo ero. Io non ho dubbi su chi sono e questo momento della mia vita è così sereno.
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