Federico
Nel 2013 avevo appena concluso il mio primo anno di università, ai tempi studiavo Design, ma non ero felice della scelta che avevo fatto, non mi sentivo stimolato. Non stavo impiegando il mio tempo in nulla di produttivo. Un giorno, però, una mia amica mi ha invitato ad un incontro per giovani a Milano, dedicato ad una campagna che in quel periodo veniva portata avanti in tutta Italia, si chiamava “Cinque atti di giustizia”.
Abbiamo parlato del ruolo dei giovani, di quello che ognuno di noi poteva fare per influenzare la società circostante; non mi ricordo molto dei contenuti delle nostre conversazioni, ma era stato molto attratto dall’ambiente che si era creato. Alla fine ci avevano chiesto di scrivere qualcosa su un cartellone ed io ho scritto: “Trovare me stesso”.
Mi hanno parlato di questa serie di conferenze internazionali per giovani, che per l’Italia si sarebbe tenuta a Verona, e, visto che io in quel periodo non avevo nulla da fare, ho iniziato a partecipare a diversi incontri che i giovani bahá’í organizzavano per invitare il più vasto numero possibile dei loro coetanei. Io non facevo molto, mi ricordo che durante una serata alla notte bianca di Brugherio, praticamente non ho parlato con nessuno, ma continuavo a partecipare.
Ho deciso che sarei voluto andare alla conferenza a Verona, ma in parte coincideva una vacanza che avevo già pianificato con la mia fidanzata dell’epoca ed alcuni amici. Sono riuscito a fare entrambe le esperienze, ma mi sono reso conto che l’ambiente che si creava durante queste attività bahá’í era diverso e che con loro riuscivo a condividere pensieri e conversazioni che avevo mai avuto con i miei amici, né con la mia fidanzata.
Ero attirato da questo ambiente in cui mi sentivo sempre accolto, mai giudicato, ascoltato, dove ognuno si sentiva libero di esprimere la propria opinione. Mi sentivo a casa. Ho iniziato la sequenza dei libri dell’Istituto e a fare attività di servizio grazie ad un gruppo giovanissimi. Inizialmente non ero del tutto consapevole delle implicazioni che stava portando nella mia vita, ma sentivo di non avere nient’altro di significativo in cui impiegare tempo ed energie e questa è stata la risposta che stavo cercando.
Piano piano ho iniziato anch’io a voler coinvolgere altri giovani in questo processo, a chiedermi come potevamo costruire una comunità ed ho iniziato ad approfondire anche la Fede Bahá’í, a leggere gli Scritti Sacri. Da quel momento le azioni che stavamo facendo hanno cominciato ad avere un significato, ho iniziato a provare la gioia nel servire gli altri. Ho cominciato a percepire che c’era qualcosa di spirituale e che anche io potevo contribuire a costruire quell’ambiente che mi aveva tanto attratto.
Per questo motivo, poco dopo, ho deciso di dedicare tutta la mia estate al servizio insieme ad altri giovani e sono andato a Portici, vicino Napoli. È stata un’esperienza molto pratica, ma anche altrettanto spirituale perché è dove per la prima volta ho sentito l’amore di Dio dentro di me. Ho sentito la Fede crescere dentro di me. Dopo due mesi sono tornato a casa con nuove consapevolezze.
La cosa più sconvolgente ed importante che ho introdotto nella mia vita durante tutto questo percorso è stata la preghiera. Ero ateo e quindi non aveva mai fatto parte di me. Ho imparato anche molto ad affidarmi al volere di Dio ed ho scoperto il significato delle confermazioni.
La comunità è un insieme di persone che condividono l’ambiente in cui vivono, che cercano soluzioni per risolvere i problemi e si prendono cura delle nuove generazioni. Non basta una famiglia per educare un giovane, soprattutto quando raggiunge l’adolescenza, serve una comunità. Anche gli adulti possono beneficiare della visione dei giovani, che sanno come sta cambiando la società e che direzione prendere. Vorrei continuare a contribuire a creare spazi dove riflettere, agire ed imparare insieme e penso che l’Istituto Ruhi offra questi strumenti.